Nelle democrazie occidentali le società si danno una legge fondamentale che raccoglie le regole per una pacifica convivenza reciproca.
E’ così che sono caratterizzati i modelli costituzionali moderni. Tra questi c’è l’Italia.
Un rigido equilibrio fatto di separazione di poteri, pesi e contrappesi, che ha dogmi essenziali per preservare, tutelare e promuovere libertà e diritti. Individuali e collettivi.
In virtù di ciò, è il Diritto a legittimare la Politica, e non può mai essere il contrario.
Se invece dovesse accadere, verosimilmente ci troveremmo di fronte a una rottura dell’ordine costituito e a una contestuale frattura dello Stato di diritto.
Oggi assistiamo, in una certa misura inconsapevolmente, a un cambiamento istituzionale epocale.
In Francia, il termine ‘Repubblica’ viene preceduto da un numero di riferimento, che consente di riconoscere e distinguere le diverse repubbliche succedutesi e affermatesi in modo intermittente nei secoli, intervallate da altre forme di Stato.
In Italia, questa dicitura viene invece utilizzata lungo l’arco della breve ma intensa giovane vita repubblicana per racchiudere all’interno di un perimetro più o meno chiaro le fasi intercorse da quando il primo referendum pose fine al sistema monarchico nel 1946.
La stampa, che ha ruolo di custode e sentinella della democrazia, ci aiuta a decodificare ciò che avviene dentro e intorno ai palazzi del potere.
E’ così che, probabilmente, ha coniato o, pensando ai cugini d’Oltrealpe, importato l’espressione ‘Prima Repubblica’: un sintagma che circoscrive un periodo politico coinciso all’inizio con la nascita della Repubblica italiana e terminato nei primi anni Novanta del Novecento con Tangentopoli.
Da quel momento, sino alle dimissioni dell’ultimo Governo Berlusconi, si è consumata la Seconda Repubblica: oltre un ventennio in cui, al di là della forte prevalenza del centrodestra come maggioranza in Parlamento, si affronta un’agenda circoscritta perlopiù a questioni interne, con alcuni isolati ma cruciali avvenimenti di respiro più ampio. Tra questi, l’adozione dell’Euro e l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
Nel novembre 2011, Monti, nominato senatore a vita dal Presidente emerito Napolitano, viene incaricato di formare un governo. Riceve la nomina dal Presidente e le due Camere votano la fiducia, accettando dunque un esecutivo tecnico e non politico, rispetto al quale i partiti restano dei meri interlocutori formali.
E’ il quadro internazionale a determinare l’individuazione di una guida terza rispetto alla politica tradizionale: sono anni nei quali sono necessarie misure impopolari per proteggersi dagli attacchi speculativi di anonimi mercati finanziari che aggrediscono sistematicamente singoli partner dell’Eurozona, approfittando della fragilità e della mole crescente dei loro debiti pubblici, le cui garanzie appaiono di ora in ora più flebili.
Austerità, contrazione dei consumi, deflazione. Sono alcune delle parole più ricorrenti che sintetizzano questa fase in cui la politica per riguadagnare terreno e consenso scarica ogni responsabilità delle riforme draconiane su coloro che sono distanti e appaiono all’opinione pubblica come algidi manovratori: gli eurocrati, genericamente intesi; la Troika più specificamente. Sono il capro espiatorio perfetto per dare un nome e una spiegazione alla sofferenza delle comunità, nascondendo immobilismo, sprechi e miopia di scelte fatte in passato senza tenere conto degli assetti di uno scacchiere geopolitico moderno in cui non ci si può più permettere di agire da soli, a nessun livello.
Mentre la politica partitica cerca di ritrovare intorno a sé un popolo da rappresentare, la Banca Centrale europea di Draghi, applicando le norme dei trattati esistenti, e di concerto (non facile) con istituzioni intergovernative e sovranazionali, pone in essere politiche volte a mantenere la stabilità dei prezzi. Crea inoltre una sorta di ombrello europeo su tutti gli Stati che hanno adottato la Moneta unica: un’applicazione, in chiave economico finanziaria, dei princìpi di solidarietà e sussidiarietà che riparano dalla pioggia speculativa e squarciano il cielo a favore di possibili passi in avanti nel processo di integrazione europea.
Il tramonto di Monti e le contestuali elezioni del 2013 conducono agli albori della Terza Repubblica.
Si assiste alla contrapposizione generazionale ordita da una nuova guardia che vuole rottamare i notabili, assurgere ai vertici delle segreterie e dare una direzione all’Italia. Ma è anche il momento della pia illusione della partecipazione nelle piazze, in cui dilaga il movimentismo come anticorpo civile che fa da contraltare all’astensione crescente che si registra in ogni tornata elettorale e veicola un generale e non meglio identificato bisogno di rinnovamento. Il centrosinistra italiano inanella una serie di governi frutto non di maggioranze stabili ma di geometrie variabili. Il Movimento 5 Stelle porta la propria fisicità dentro le istituzioni. Nel 2018, con una legge elettorale che certifica la cara e vecchia incertezza di sempre, si suggella l’ingovernabilità del Paese per mesi interi.
La Terza Repubblica vive meno della naturale durata di una legislatura.
I partiti fanno perno su Conte, figura estranea alla politica e, in quanto tale, ritenuta come l’unica a poter tenere unite culture che si sommano per lassi di tempo determinati, senza fondersi mai: né sui contenuti, né sui meriti, né sui metodi.
Trascorsi oltre cento giorni dall’esito delle urne, le principali forze stipulano, alla stregua di due semplici soggetti privati, un contratto avente ad oggetto i punti di un programma di governo da attuare.
La primavera del 2020, che sarà riportata nei libri di storia per lo scoppio della pandemia di Coronavirus, è uno dei momenti più drammatici e distopici dell’umanità. L’Unione europea si desta per fronteggiare l’emergenza sanitaria prima, economico e sociale poi. La sanità è materia di competenza riservata agli Stati (con le debite differenze caso per caso: in Italia ad esempio il ruolo preminente è in capo alle Regioni). Viene centralizzato e coordinato attraverso Bruxelles l’approvigionamento e la distribuzione di dispositivi medici di protezione. Sospesi i capisaldi che impedivano gli aiuti di Stato e neutralizzati vincoli di bilancio e patti di stabilità. E’ una nuova era. Si costruisce una rete di programmi e fondi per sostenere cittadini e imprese e, in contemporanea, restano in cima alle priorità la transizione ecologica e la trasformazione digitale che traghettino il Vecchio continente, unito, verso un avvenire equo e sostenibile.
“Conoscenza, coraggio, umiltà”: questa la summa recitata da Draghi alla fine del proprio mandato come banchiere a Francoforte, quasi a ridosso della convocazione da parte del Presidente della Repubblica Mattarella per assumere l’incarico prodromico alla nomina di Presidente del Consiglio.
Con lui, comincia la quarta (e, forse, penultima) Repubblica italiana, che riporta dopo circa settant’anni il ruolo dell’Italia come nodo nevralgico delle sorti dell’Europa politica che verrà.
Inizia una transizione istituzionale che parte da una nuova consapevolezza dell’esistente: il Parlamento italiano ormai per i due terzi dei provvedimenti su cui è chiamato a legiferare deve misurarsi su preesistenti norme europee.
Tutti i Paesi membri stanno, loro malgrado, sciogliendosi dentro l’Unione, segnando la fine degli Stati nazione.
L’ultima repubblica, magari, sarà quella senza confini di un’Europa in cui ogni minoranza, sarà espressione politica, civica, consapevole e coraggiosa che il futuro da scrivere è più prospero di questo presente.