Il futuro della Sardegna non è l’Italia. Ma il presente ci ricorda che la Repubblica (italiana) è una e indivisibile (articolo 5 della Costituzione). Il richiamo è d’obbligo per coloro i quali, indipendentisti e non, ritengono che astenersi dalla partecipazione al referendum del 4 dicembre sia gesto in qualche modo utile e significativo. Astenersi significa fare un torto a se stessi, in contraddizione con l’articolo 48 della legge fondamentale che ricorda come il voto sia diritto e dovere civico. Ma è ancora più imperdonabile non prendere una posizione per noi, discendenti di Gramsci che, in quanto sardi, rischiamo di essere vittime della nostra stessa indifferenza.
L’opinione pubblica italiana e sarda sono divise. Persino la dottrina isolana è frammentata. Il terreno della fiducia, mancante o rinnovata, distingue le posizioni in campo. Fiducia, alla base di un rapporto con lo Stato al quale siamo formalmente legati, oggi. L’Italia non è un paese federale però, e se valutiamo il testo costituzionale ante e post riforma, ci scontriamo con una serie di evidenze.
Venti materie, finora concorrenti, diventerebbero competenza esclusiva dello Stato (si veda il nuovo articolo 117). Ma le disposizioni transitorie sospendono per un lasso di tempo indeterminato l’applicazione di questa novità, escludendovi le cinque Regioni autonome, finché queste ultime non riscrivano il proprio Statuto speciale (articolo 39.13 delle disposizioni transitorie).
Che cosa succede finché non si modifica lo Statuto? Il nuovo testo regionale sarà vantaggioso o frutto di un compromesso al ribasso con l’Italia?
Sino a quando la Sardegna non riscrive il proprio Statuto, la vecchia disciplina dell’articolo 117 (preriforma) rimane in vigore: l’Isola mantiene le competenze condivise con lo Stato.
Mentre per le altre Regioni, quelle ordinarie, si applica immediatamente la nuova disciplina: lo Stato, su quelle stesse materie, decide in modo unilaterale.
Persiste il dubbio rappresentato dalla clausola di supremazia e di interesse nazionale.
“Su proposta del Governo la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale” (articolo 117).
Poniamo per un istante che prevalga il “Sì”, e immediatamente dopo avvenga una catastrofe di interesse umano, non ‘nazionale’. Il Governo italiano dispone provvedimenti straordinari che coinvolgono la Sardegna. E’ già accaduto in passato che un territorio avesse necessità del sostegno degli altri. Un bisogno intercettato dallo Stato italiano e soddisfatto dal principio di leale collaborazione: l’emergenza rifiuti in Campania nel primo decennio degli anni Duemila, ad esempio. In quel caso, al posto della spada di Damocle della clausola di supremazia, si è optato per una scelta condivisa e di buon senso, né più né meno ispirata ai principi costituzionali come la solidarietà (articolo 2), nel pieno rispetto delle autonomie regionali. Che bisogno ci sarebbe di introdurre un ulteriore vincolo formale?
Probabilmente per rafforzare un processo di accentramento progressivo di poteri, competenze e funzioni da parte dello Stato, ed evitare un doveroso confronto con le Regioni e le rispettive comunità. L’obiezione del fronte per il “Sì” è fondata sul richiamo al principio dell’intesa.
Di che intesa parliamo? La Costituzione è la legge fondamentale della Repubblica. Gli Statuti sono leggi di rango costituzionale. Per i non addetti ai lavori, significa che nel momento in cui la Sardegna riscrive lo Statuto, deve farlo in conformità alla Costituzione vigente (ecco perché le disposizioni in calce alla Costituzione sono dette ‘transitorie’). Pertanto, se il nuovo articolo 117 trasferisce i trasporti in capo allo Stato in via esclusiva, non c’è intesa abbastanza forte oltre a quella già espressa formalmente nero su bianco: i trasporti non sono più competenza sarda. Energia? Persa. Ambiente? Pure.
Tenete a mente l’esempio del deposito di scorie nucleari…
Cosa rimane alla Regione Sardegna? Lo diranno le condizioni politiche, ammesso che vinca il “Sì”.
L’intesa è principio richiamato nel nuovo testo costituzionale all’interno dell’ultimo comma dell’articolo 116 e al quarto comma dell’articolo 118 in materia di tutela dei beni culturali e paesaggistici. Nel primo caso, si apre a “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, accompagnate da una lista di eccezioni precedute da una costellazione di “limitatamente a…”, “purché la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio”.
Già, Il bilancio. Quel vincolo che soffoca le amministrazioni locali e impedisce loro di spendere per l’erogazione di servizi pubblici essenziali. L’economicità, la quadratura dei conti divengono criteri imprescindibili, in nome dei quali possono addirittura essere destituiti membri delle istituzioni eletti democraticamente. Il secondo comma dell’articolo 120 apre ad un nuovo scenario di tagli alla spesa pubblica a svantaggio dei cittadini: “la legge (…) stabilisce i casi di esclusione dei titolari di organi di governo regionali e locali dall’esercizio delle rispettive funzioni quando è stato accertato lo stato di grave dissesto finanziario dell’ente”.
Il tema del bilanciamento tra economia e democrazia è scottante, a ogni livello. Per la Sardegna, la mancanza di un numero garantito di rappresentanti, è tasto dolente, e problema costante in tutte le istituzioni italiane ed europee.
Si è paventato il rischio che nel nuovo Senato non ci siano rappresentanti sardi, per una incompatibilità prescritta nell’articolo 17 dello Statuto sardo che impedisce a un sindaco di un Comune di diecimila abitanti e ai consiglieri regionali di assumere anche l’incarico di senatore. Come richiamato da parte della dottrina sarda, il rischio su questo punto è relativo; la Costituzione, in questo caso per fortuna, prevale sullo Statuto.
Possiamo ugualmente dire senza ipocrisie che da questa riforma la Sardegna rischia di avere più problemi che benefici, o è lesa maestà?
Eh, ma non va bene niente. Vi piace lamentarvi, e non cambiare mai. Al contrario. Sarebbe un onore aprire una discussione lancinante sul migliore Statuto Speciale possibile per la Sardegna e con tutti i sardi. Sarebbe auspicabile farlo per il destino di questa Terra, e non su pressione di un governo centrale amico di quello locale. Sarebbe prezioso modificare anche la Costituzione. Non a queste condizioni, però.
Una Costituzione in cui si riconosca finalmente lo stato di insularità della Sardegna e anche della Sicilia, coerentemente con quanto è stato ottenuto dopo una battaglia trasversale al Parlamento europeo il 4 febbraio 2016. Così come è scritto senza ambiguità nelle Costituzioni di tutti i Paesi membri dell’Unione europea che sono composti da isole, assicurando in tal modo un accesso più facile ai programmi di coesione territoriale previsti tra gli altri dall’articolo 174 del Trattato di Funzionamento dell’Unione europea per colmare le differenze di sviluppo tra Regioni europee.
Si sbandiera l’intesa, sostenendo che l’Autonomia regionale verrebbe addirittura rafforzata, ma nessuno è stato in grado di elencare con precisione non tutte, ma neppure una delle competenze che la Sardegna farebbe propria grazie a questo tentativo di riforma. Che certezze abbiamo? Abbiamo la certezza documentata che venti materie le perderemmo. Abbiamo la sicurezza acclarata dalle cronache che grazie alle trattative politiche le regioni a Statuto speciale non saranno momentaneamente abolite . Si è ottenuta la modifica del termine “adeguamento” alla “revisione” degli Statuti. Non un vezzo linguistico, ma è semplicemente una prescrizione del linguaggio costituzionale ai principi di un ordinamento giuridico, a cominciare dalla gerarchia delle fonti.
Di quale intesa parliamo, e soprattutto, tra chi? A malincuore bisogna votare “No”, e decidere che rapporti tenere con lo Stato a partire dal presente.
Il futuro della Sardegna non è l’Italia.
E’ l’Europa, il Mediterraneo, le isole sorelle con cui finalmente cominciamo a discutere dei problemi comuni e delle soluzioni percorribili assieme. E’ il mondo, che ci aspetta, come Nazione senza Stato che scalpita per scrivere alla pari con gli altri le regole della convivenza e della civiltà di domani.
Da Sardiniapost 01/12/2016