La più grande fortuna e sfortuna del Partito Democratico è la sua eterogeneità.“Chentu concas chentu berrittas” diremmo in lingua sarda, per sintetizzare come ancora una volta nel Pd emergano tante posizioni così aspramente diverse l’una dall’altra da far temere a volte un’implosione. Da mesi ormai il Pd ha ricominciato in modo deciso a dibattere sui temi del lavoro, dei diritti civili, della crescita, e della ri-costruzione di un programma presentabile in vista delle elezioni politiche.
E’vero, in cima alla lista delle cose da fare in questo anno solare appena concluso c’era, tra le altre, la riforma della legge elettorale, visto che il vituperato “Porcellum” è in vigore dal 2005. E ancora sta lì.
Il Pd, non riuscendo a dettare i ritmi dell’agenda parlamentare ha dato regole a se stesso e per le forze vicine. Si è partiti con le primarie per definire chi sarebbe stato il candidato del centrosinistra per le politiche del 2013. Il segretario nazionale ha rinunciato a quanto gli sarebbe spettato dallo Statuto del Pd e la competizione si è estesa ad altri quattro candidati della coalizione. Nonostante l’unanime soddisfazione per la “festa di partecipazione popolare” con cui sono state salutate le primarie di novembre, c’è stata una forte critica delle regole, al primo e soprattutto al secondo turno. La cronaca degli ultimi giorni racconta un confuso riposizionamento dei tasselli del mosaico politico.
Stessa scena, stessi attori, stesso copione. Sembrerebbe. Ma sarebbe una semplificazione errata: il segretario del Partito Democratico, vincitore delle primarie, dichiara che si devono svolgere anche le primarie per i parlamentari (in prima battuta solo per il Pd; poi anche Sel e Psi – sì, esiste ancora – confermano, con modalità differenti, l’utilizzo dello stesso strumento elettorale). Sebbene sia ancora vigente una legge elettorale allucinante che “prioritariamente” si diceva dovesse essere abrogata, oggi ci si accontenta e si considera buona l’alternativa Pd. Primarie il 29 ed il 30 dicembre 2012.
Osserviamo che le regole sono decise da una segreteria nazionale in cui una parte degli eleggibili rientra in una lista bloccata. Dunque non sono sottoponibili ad alcuna selezione. E’ come se non li eleggesse nessuno, in fin dei conti. Sono praticamente nominati. Se preferite: sono prescelti in modo divinamente democratico. Emerge la distorsione fra voti e consenso. Tutto in regola. Ma sarebbe giusto dire: “tutti in deroga”. Queste primarie sembrano democratiche, ma il meccanismo evoca vagamente quel pluralismo democratico di sovietica memoria in cui un comitato centrale stabiliva quale fosse il bene comune. E a quel punto quella posizione assunta era Vangelo per tutti. Senza eccezioni. Ma noi una discussione dobbiamo aprirla eccome.
Sia perché i fortunati eleggibili si avvalgono di regole ad hoc; per esempio sono eleggibili i consiglieri regionali che hanno un ruolo nel partito a livello nazionale. Ma gli esempi sono tanti, perché le regole derogate sono altrettante, e non sono state rese note tutte nello stesso momento, ma distillate pian piano, quasi a voler chiudere, un battente dopo l’altro, ogni infisso di una casa che aveva accolto, nei proclami, tutti i cittadini. E che silenziosamente, per non escludere gli intoccabili, ha ristretto una festa democratica alla partecipazione di pochi ed esclude invece molti che avrebbero forse competenza, preparazione, dedizione, e anche una fedina penale più dignitose di altri.
Dura lex sed lex: è il brocardo che risuona nella mente di tanti che hanno sentito di appartenere al popolo del centrosinistra perché fondato sulle regole che permettono una convivenza civile; è vero anche che, se le regole funzionano male, sono le persone a darsele, e dunque, a poterle modificare in assemblea secondo determinate forme e limiti. Ora, il dibattito interno è miseramente fermo alle deroghe ed alle correnti per poter essere ammessi ad una festa dai tratti esclusivi.
Ci ricordiamo ogni tanto che il Partito Democratico della Sardegna è federato con quello italiano? Federazione ci auguriamo non ricalchi troppo la radice della parola, e si distacchi da un concetto che vorremmo dimenticare: feudalesimo. E’ finito il tempo in cui sono le persone a dover gravitare intorno ai partiti. Oggi i partiti sono organizzazioni che vivono del rapporto con la società, e coi territori che rappresentano attraverso le istituzioni. Non capire questo significa essere fuori dalla storia.
Sullo sfondo il Decreto-Legge del 18 dicembre 2012 n. 223, divenuto Legge 232/2012, con cui il Governo Monti ha usato uno strumento straordinario di necessità ed urgenza (previsto negli articoli 77 e 87 della Costituzione) per regolare la materia elettorale, ponendo illegittimamente delle condizioni tipiche dei più beceri Paesi in cui non esistono né libertà garantite né diritti. Colpo di Stato o negligenza delle istituzioni? Ronald Dworkin in una recente intervista ha detto: “nel cambiamento è anche il rapporto fra libertà di parola e politica. Più si parla e maggiore è la quantità di informazioni, dunque le decisioni da prendere”.
Occorre trovare il modo di usare le parole per servire la democrazia e non per corromperla.
Le primarie sono un punto di non ritorno, e, per il messaggio che portano, conquista di una democrazia partecipativa. Oggi, come ieri, le correnti sono spifferi che soffiano alla segreteria nazionale e corrodono regole già incerte . In Sardegna abbiamo il maestrale, un vento autonomo, che spazza via le nubi. E di nuvole, nelle elezioni nazionali e regionali prossime, non ne vogliamo.
da Sardegna Democratica 09/01/2013