Parlano di noi: noi studenti, noi “giovani”. Noi “futuro del Paese”, ragazzi che devono poter andare avanti grazie al “merito”. Provo a fare con queste parole abusate un esercizio logico e arrivo ad una conclusione maliziosa: ma se qualcuno di questi oratori avesse dovuto fare i conti con la “meritocrazia” avrebbe mai potuto proferire verbo dai pulpiti dove si è appollaiato? So di non poter avere una risposta certa e univoca: mi devo accontentare di difendere ciò che rimane dell’università pubblica statale, prossimamente denominata Fondazione privata. Quella che prima col “pre-salario” e poi con le “borse di studio” ha garantito uguaglianza formale e sostanziale a generazioni di universitari, oggi lavoratori.
Le borse di studio sono oggi pagate parzialmente dagli studenti sardi con una tassa di 62 euro chiamata “Tassa per il Diritto allo Studio”: quest’anno c’è ancora, è garantita. In media 4000 persone in Sardegna ne beneficiano ogni anno, avendone diritto per reddito e/o merito. Con la riforma universitaria italiana, cioè a seguito dell’entrata in vigore della Legge 133/2008 prima, e della Legge 240/2011 poi, in combinato con una serie di decreti legislativi (l’ultimo sul diritto allo studio approvato l’11 novembre 2011 dal governo dimissimionario), il diritto allo studio viene preso a picconate. I fondi stanziati come contributo per le borse saranno decurtati del 90% nel giro di tre anni, e cambiano i criteri per beneficiarne. Saranno accessibili solo a chi è veramente povero (reddito vicino allo zero) o a chi evade il fisco. Persino il concetto di borsa di studio viene rimosso, così come l’idea di un’istruzione pubblica statale. Le nuove borse si chiameranno “Premi di produzione”.
Si intuisce che questi sono tasselli di un mosaico moderno, in cui l’Università ha un’impronta aziendalistica, dove i dogmi del profitto, della disuguaglianza prevalgono: la conoscenza come strumento di massa e di riscatto racconta ormai una pagina del passato. Gli studenti vengono declassati da cittadini ad utenti, consumatori senza tutele. E’ un futuro paradossale per chi vive nell’Isola: il 15% della popolazione sarda ha fra i 18 ed i 30 anni. Circa 60.000 sono universitari in Sardegna. Come pagare gli studi?
Due soluzioni. Una temporanea: gli “Assegni di merito”. Da alcuni sedicenti intellettuali bollati come manifesto propagandistico politico. Più realisticamente si sono rivelati uno strumento, certo perfettibile, che dà dignità agli studenti meritevoli in accordo con l’articolo 34 della Costituzione italiana. E’, aggiungo io, una conquista civile. Per tutti i sardi, non solo per una parte, come invece siamo tristemente abituati a notare quando parliamo di ripetuti interventi politici. Altra soluzione, molto à la page, è data dai “Prestiti d’onore”. Soluzione vincente nei paesi anglosassoni, in cui le banche concedono dei prestiti a tasso agevolato per i frequentanti atenei dalle rette astronomiche, con l’impegno di restituire quanto prestato in tempi congrui; debiti facilmente estinguibili visto che i figli di queste università spesso cominciano a lavorare quando ancora non hanno consegnato la tesi.
Trasferisco lo stesso principio dei prestiti d’onore nella mia Terra, dove un giovane su due è disoccupato, dove brillanti laureati campano con contratti vergognosi senza alcuna tutela e mi chiedo: come può un disoccupato ripagare il debito contratto con la banca per pagare le tasse universitarie? Sarà mica che ci sono davvero cose che non possono essere oggetto di mercato, come il diritto di studiare ed il diritto di mantenere una condizione degna? Col cuore in mano mi rendo conto che chi decide per noi la pensa in modo molto diverso. Parla di noi, ma non parla con noi. Se non per negare quanto più ovvio.
Una Sardegna senza cultura sarà sempre e solo una terra di conquista. E il suo popolo sempre meno capace di alzare la testa.
28/11/2011